SOGNO CLANDESTINO
Blu, rosse, dorate.
Sul grande albero le lucette, poste a spirale nella chioma esterna, creavano un gioco di intriganti intermittenze.
Davanti ad esso stavano fermi i bimbi, incantati da quel movimento costante nel tempo. I loro occhi sembravano accogliere con un sorriso quella che probabilmente era per loro una novità.
In quei giorni, il Centro di Primo Soccorso e Accoglienza ospitava una ottantina di immigrati; una settimana prima, circa quattrocento erano stati espatriati o portati in altri centri della penisola.
Il Natale era alle porte e, come ogni anno, i volontari addobbavano le sale fredde e squallide dell’edificio, rendendo l’atmosfera davvero accogliente.
Gemma, anche in quell’occasione, pensò di prestare il suo aiuto, seppur gli impegni con l’Orchestra in cui era prima Violinista, fossero tantissimi.
Lo faceva con piacere ormai da qualche anno. Amava immergersi in un mondo di colori, sapori e odori che sapeva appartenere ad un altro continente, l’Africa, da cui era sempre stata affascinata e attratta.
Gli ospiti arrivavano dall’Etiopia, dal Congo, dalla Nigeria. Erano in cerca di una vita migliore che era stata promessa loro dai trafficanti di uomini.
Conoscerli e stare a contatto con loro era per Gemma un modo tutto nuovo di approcciarsi a culture e tradizioni lontane dal suo mondo. E poi la appassionava davvero tanto esibirsi in un concerto per persone spesso prive di identità apparenti. La musica, armonia dell’anima, incantava con le sue note creando tra mente e cuore sinergie indefinibili.
Nel preparare i pacchetti natalizi da apporre sotto l’albero, la violinista conversava con Abebe, una giovane eritrea che era al centro ormai da diversi mesi. Insieme chiacchieravano del più e del meno, scegliendo la carta regalo e i nastrini da abbinare. Colse l’occasione per chiederle informazioni sulla donna, che aveva notato sin dal primo istante in cui era entrata al Centro e che stava seduta nell’angolo in fondo alla sala. Stava leggendo un libro. Aveva delle fattezze fisiche e dei tratti somatici che le riportavano alla mente le donne etiopi: alta, formosa, bella e con dei capelli intrecciati con cura e grande abilità;..
– Si chiama Jandra e arriva dall’Etiopia; – si espresse Abebe che era ritenuta l’informatrice del Centro; sapeva sempre tutto di tutti- è giunta qui dopo aver appreso la notizia che Samir, il suo uomo, è stato ritrovato cadavere sulle coste lampedusane. Era partito dal Paese di origine, come tanti migranti in fuga dal Sud del mondo.
– Oh, ma davvero? Quanto mi dispiace! Osservandola, mi è sembrata pensierosa e triste; chissà cosa cova dentro! Vorrei conoscerla di persona. Ti dispiacerebbe farmi da interprete?
– Certo, Gemma; conosce molte lingue e parla piuttosto bene anche l’Italiano …ma vieni, dai che te la presento!
Gemma era eccitata all’idea e seguì incuriosita Abebe…
“Buongiorno Jandra, ti presento la mia amica Gemma! Gemma, lei è Jandra…”
“Buongiorno Abebe! Piacere di conoscerti Gemma- rispose l’etiope con garbo e piuttosto incuriosita, porgendo la mano alla nuova conosciuta, secondo l’usanza occidentale. – Asham, nagaa!” – aggiunse con un sorriso.
“ E’ Oromo, la lingua afroasiatica parlata in Etiopia. Ciao, la pace sia con te! – tradusse Abebe con prontezza come se volesse rendersi utile il più possibile- Ora vado di là ad aiutare in cucina”- si congedò l’eritrea, lasciando le due donne in conversazione, mentre si scrutavano da vicino.
“Sei una brava violinista, Gemma, ti ascoltavo mentre facevate le prove con l’orchestra”- si complimentò Jandra.
“Grazie, sei molto gentile. Sì, mi piace molto suonare…diciamo che è il mio mestiere…suono, appunto, in una grande Orchestra. Amo la musica perché è, per me, espressione d’arte mistica, è un linguaggio senza tempo…è la voce di tutta l’umanità.”
“Concordo del tutto! È un linguaggio universale, è linguaggio dell’anima e aiuta a esprimere sé stessi”.
“E tu, invece, cosa stai leggendo? – domandò Gemma interessata – Ti osservavo mentre ero a preparare i pacchetti natalizi”.
“A dire il vero stavo leggendo un libro: Il culto della Vergine presso gli Abissini. Si tratta del libro etiopico dei Miracoli di Maria. Una lettura tutta nuova per me!”
“E’ sempre interessante affrontare nuove tipologie di lettura” – sottolineò Gemma, poi aggiunse- Come mai hai scelto di venire in Italia? Parli benissimo la nostra lingua!”
“Diciamo che è una lunga storia la mia, una storia d’amore e di dolore… Beh! … se ti fa piacere, te ne parlo un po’ …”
“Ma certo! Ti ascolto volentieri…intanto, ti va di aiutarmi, a preparare i doni natalizi per i piccoli del Centro?”
Jandra acconsentì facendo cenno con la testa.
Si spostarono nella stanza adiacente dove c’era una grande libreria e un tavolo; su di esso tanti pacchetti ben confezionati, della carta regalo arrotolata; in una scatola delle coccarde e dei nastrini che fuoriuscivano in maniera disordinata.
“Eccoci! Mi passeresti i giochini riposti lì nel cestone, per favore? – chiese con dolcezza – Cosi, se non ti dispiace, continuo a impacchettare. “
“Sì, certo…posso anche tagliare il nastro adesivo, se vuoi…- e tirò un sospiro come a volere prendere fiato- Mi piace l’Italia. Sin da quando ero adolescente- iniziò a raccontarsi- il mio sogno è sempre stato quello di venire a vivere e lavorare qui- e sorrise mettendo in mostra i denti ben allineati- Ho avuto la fortuna di studiare nella scuola italiana di Addis Abeba e, dopo essermi diplomata come maestra, ho cominciato ad insegnare nella scuola materna. Una vera missione per me. Lavorare con i bambini è proprio meraviglioso; non si può immaginare quante emozioni possano regalare!!!
Ho conosciuto Samir mentre lavorava vicino la scuola come facchino d’albergo, anche se era un ingegnere. Aveva intenzione di andare via: si sentiva sfruttato e, a volte, veniva pure malmenato- si fermò un attimo come se volesse focalizzare meglio gli eventi, poi riprese- Un bel giorno mi annunciò che aveva pagato per andare via, in Italia dove c’era un mondo migliore rispetto a quello che si stava lasciando alle spalle. Aveva dei sogni da realizzare e speranze, come ogni essere umano; si augurava che la fame, la miseria e la disperazione vissuta in un vicino passato potessero presto diventare solo un lontano ricordo.
Io gli chiesi cosa ne sarebbe stato di noi e lui mi rispose con un caldo abbraccio, qualcosa di immenso per me che, di volta in volta, si rinnovava e mi procurava un brivido intenso, togliendomi il respiro. Era un’emozione pazzesca che mi fermava il cuore fino a non sentirlo più, per poi sentirlo battere ancora più forte. Certe emozioni ti mettono radici nel cervello e non ti mollano. Lui mi rassicurò e assicurò che appena si fosse sistemato, io avrei potuto raggiungerlo e così ci saremmo sposati.
Gli evidenziai che avremmo potuto realizzare il nostro sogno anche lì, in Etiopia, e che poi, magari più avanti, avremmo potuto trasferirci. Non mi piaceva l’idea che lui diventasse un clandestino!
Sapevo che mi amava e tanto, ma non seguiva quasi mai i suggerimenti che gli davo.”
“Son pronto a svolgere anche i lavori più umili- mi disse- voglio, insomma, vivere, a buon diritto, una nuova vita che mi garantisca un minimo di serenità e, soprattutto, di sicurezza”.
“C’è da dire – gli volli sottolineare – che, in tutto questo iter, un gioco rilevante viene svolto da diverse figure come quelle dei trafficanti di schiavi che organizzano il viaggio di tutti i clandestini. Ti assicurano, di certo, il viaggio ma dovrai pagare ingenti somme. E poi… e poi…è illegale; si tratta di vero e proprio reato!”.
“Stai serena- mi disse lui accarezzandomi il volto con la sua mano da gran lavoratore, ruvida e piena di calli – andrà tutto benone! Finora io e te abbiamo volato cieli impossibili e continueremo a farlo, se sarà il caso, perché noi siamo anime fatte di assonanze e intuizioni, siamo respiri in un respiro. Noi non possiamo perderci perché siamo i sogni e i sogni, quelli più veri e più belli, vivono in noi.”
“Avevo percepito che sentiva una forte voglia dentro di sé, il bisogno di agguantare la vita con entrambe le mani prima che il tempo fluisse ancora più lesto. Che dovevo fare a quel punto? Era inutile continuare ad insistere ma alla partenza, che avvenne di notte, lo strinsi fortissimo a me e non fui in grado di trattenere le lacrime e i singhiozzi. Non riuscivo a staccarmi da lui. Anche Samir era visibilmente commosso- le gote, a quel punto del racconto, le si rigarono di lacrime”- e cominciò a piangere in maniera irrefrenabile.
“Mi dispiace- disse Gemma che aveva smesso da un po’ di impacchettare i doni e abbracciò Jandra come a volerla consolare- immagino allora che non sia andata come desideravate entrambi… ma fermiamoci qui…continuiamo in un altro momento, se lo preferisci…”
“No, no…tranquilla! Possiamo continuare- tirò su col naso e si asciugò gli occhi con il polsino della maglia- tanto non serve a nulla piangere…Il suo corpo privo di vita è stato rinvenuto sulle coste lampedusane- riprese il racconto con una certa compostezza- Tra gli oggetti che aveva in corpo furono rinvenute delle lettere che sembrano quasi un testamento. Tra le righe c’è il racconto della sua odissea… ti leggo un passo- e uscì fuori dal libro una busta dalla quale estrasse più fogli sgualciti in cui l’inchiostro era scolorito e i grafemi sembravano aver assunto forme nuove-
“Mia dolce Jandra, mio adorato amore, io ce l’ho quasi fatta…non ti nascondo, però, che vivo nella paura che questo barcone, su cui siamo in viaggio da giorni, forse settimane, possa affondare da un momento all’altro. E’ stracolmo di gente e ci sono tanti bambini che piangono e si lamentano in continuazione. Poveri cuccioli! Siamo tutti stanchi e affamati… ma la Sicilia è ormai vicina, così dicono, ed il mio sogno si sta per avverare. Lo so, ho dovuto pagare per realizzarlo ma sono contento…soprattutto se potrò condividerlo con te. Vorrei tu fossi già qui con me…Sento il tuo odore e insieme ad esso vedo il tuo sorriso ed il tuo modo di guardarmi. E’ come se il tuo profumo racchiudesse tutte le pieghe della tua bocca e la forza dei tuoi abbracci. Lo conosco alla perfezione: è l’odore dell’Amore. Non osare, dunque, dimenticarmi! Il mio desiderio più grande è che tu stia bene. Non so se riuscirai a dar forma e colore a questo amore…però lo puoi afferrare…è tutto e solo per TE, amore mio…
Se mi salverò, ti prometto che farò tutto quello che mi sarà possibile per trovare un lavoro e farti venire in Europa da me.
Se leggerai questa lettera, io sarò salvo e allora noi avremo un futuro. Ti aspetto con ansia. Ti amo. Che Allah mi protegga.
Tuo per sempre, Samir”
“Non ho parole, Jandra cara – pronunciò, Gemma, con immensa emozione e con un groppo alla gola che la faceva fremere – di sicuro è doloroso e quasi impossibile accettare. Immagino sia molto dura…ma posso chiederti il seguito? Solo se te la senti, naturalmente…”
“Sì, sì, certo, me la sento! Grazie! …Questa lettera la portava addosso come fosse una reliquia. Era chiusa, quasi sigillata, dentro una busta di plastica…forse perché temeva che rischiava grosso perchè il mare potesse distruggerla. Con essa c’era una mia foto dietro la quale c’era il mio indirizzo. Ecco perché con facilità sono stata contattata dalle Forze dell’Ordine italiane e dall’Ambasciata etiope per il riconoscimento del corpo. Non ho perso tempo, ho preso il primo volo e dovuto affrontare la tragedia- riprese a singhiozzare ma poi si fermò provando a riprendere per l’ennesima volta il racconto- L’atto del riconoscimento è struggente e non trovo altre parole per descriverlo…Ho già partecipato ai funerali e il dolore mi ha letteralmente infilzato il cuore. Lo amavo. Amavo il modo in cui metteva in mostra la sua mente quando parlava, amavo la sua testardaggine, amavo la sua essenza, mi sento persa senza di lui e l’immensità del vuoto ora mi ha trascinata nel baratro…Mi trovo qui, alla ricerca di Hagos, un suo carissimo amico di cui non ho più notizie. So solo che è riuscito a salvarsi e che è stato ospite qui. Avrei voluto da lui altre notizie di Samir e sugli ultimi istanti della sua vita. Lo so, sarà dolorosissimo conoscere…nel frattempo sto maturando l’idea di rimanere qua in Italia. Non so cosa potrei fare…vorrei spendermi in qualcosa di bello e di utile, così potrei realizzare quel sogno che sin da ragazzina mi accompagna e che non sono riuscita a realizzare e a condividere con lui- chiuse gli occhi come se provasse a realizzare il sogno”.
“Sono certa che sarà così, vedrai! Qui, al Centro, ti daremo una mano per quanto sarà possibile – rispose con convinzione Gemma e aggiunse con tenerezza- Me lo ripeto sempre: “Siamo tutti clandestini. Tutte le persone che hanno un altrove e qualcosa di estraneo a loro stessi lo sono. Clandestini del cuore. In questo senso tutti noi lo siamo!”
Racconto tratto da TRAME D’INCHIOSTRO-RACCONTI E OLTRE di Marinella Tumino
Kimerik Edizioni