LA MEMORIA: RACCONTI E STORIE DELLA SHOAH

LA PORTA SOCCHIUSA di Marinella Tumino

Lungotevere

Roma, venerdì 11 novembre1938.

A casa Belforte il lume a olio rimaneva acceso fino a tarda ora.                          Dopocena, dal tavolo della sala veniva spostato sullo scrittoio della biblioteca.

 Giacobbe e Clara andavano a letto tardi e, mentre lui sbrigava le ultime carte per la ditta di cui era contabile, lei sferruzzava, tenendogli compagnia.

Dietro la porta socchiusa,al buio, immobile e acquattata alla parete, Annetta ascoltava i discorsi dei genitori. La piccola di appena tre anni si era svegliata di soprassalto,assalita da un brutto sogno.

Il padre, dopo aver riordinato i vari documenti, come un rito che lo accompagnava da sempre, si accese un sigaro e massaggiò con delicatezza gli occhi stanchi, poi, inforcò di nuovo gli occhiali per leggere ad alta voce le ultime notizie, l’edizione pomeridiana del Corriere della Sera.

Le leggi per la difesa della razza ariana: approvate dal Consiglio di Ministri – lesse quasi in apnea- I matrimoni misti sono proibiti, La definizione di ebreo, le discriminazioni e le annotazioni allo Stato Civile. L’esclusione dagli impieghi statali, parastatali e di interesse pubblico…”

Si fermò.

Provò a riprendere la lettura, ma non si sentì in grado. Alzò gli occhi verso Clara con lo sguardo interrogativo.- Vai avanti – lo esortò.

-Mi sembra tutto così assurdo! E’un’infamia! – gli si inumidirono gli occhi e la voce era soffocata.

-E ora che succederà? Che faremo?

-Non saprei…ehm…comincia a complicarsi e non pensavo si arrivasse a tanto- aspirò il fumo del sigaro, dando dei colpi di tosse, sperando forse di trovare ispirazione dagli anelli di fumo che creava.

-Che ne sarà di noi, della nostra famiglia, di ciò che abbiamo costruito con sforzi e immensi sacrifici? Ho proprio una gran paura- Clara cominciò a singhiozzare.

-Di sicuro il Papa e la Chiesa ci aiuteranno, ostacoleranno questi folli- l’uomo le si avvicinò, provando a rassicurarla e poi ad asciugarle le lacrime, mentre tirava fuori dalla tasca un fazzoletto in cotone con la G ricamata in uno degli angoli. Poi, la avvolse in un caldo e tenero abbraccio.

Intanto, la piccola, che nascosta fino a quel momento aveva assistito alla scena, scappò in cameretta,correndo in silenzio e in punta di piedi, rannicchiandosi nel letto, assieme allabambola Dolly, amica inseparabile.

Scoppiò a piangere impaurita, chiedendosi cosa stesse succedendo…

Fu l’inizio di una terribile avventura in cui la piccola Annetta fu testimone, viaggiatrice nel cuore del tempo.

Per cinque anni, la vita dei Belforte e di tutti gli Ebrei si svolse con stentata e apparente normalità,costretti ad assecondare e rispettare le Leggi Razziali in vigore.

-Siamo stati fortunati finora – Giacobbe si rivolgeva a Clara mentre sprofondava comodo nel divano, guardandola dritta negli occhi neri e profondi- continuo a fare il contabile anche se non so ancora fino a quando il dottor Ferretti mi terrà a lavorare con sé. Lui è un uomo di buon cuore ma è un ariano, un italiano di razza pura- sottolineò con sarcasmo-  e rischia grosso.

-Siamo stati costretti a trasferirci qui al ghetto, lasciando la nostra bella casa.

-Lo so, cara, ma bisogna accontentarsi, fino ad oggi non ci siamo fatti mancare nulla- e le porse un sorriso rassicurante- e poi siamo a due passi dalla sinagoga, dalla scuola, dalla fermata delle linee degli autobus riservati a noi.

Sinagoga, Roma

 All’alba del 16 ottobre 1943, giorno di festa per tutti gli ebrei …

Annetta, come spesso le accadeva, si svegliò di soprassalto. Temendo fossero i soliti incubi, si mise a sedere sul letto, provò a respirare a fondo e senza affanno,come le aveva insegnato mamma, ma si rese subito conto che era stata svegliatada un vociare e da marce cadenzate che provenivano dalla strada.

Si rabbuiò, abbracciando con forza Dolly e chiedendosi cosa stesse succedendo.

Fu proprio allora che bussarono con vigore al battente del portone.

Si alzò e andò a sbirciare dalla porta socchiusa.

La sua camera era stata allestita in soffitta, nel ripostiglio.

-Arrivo,un attimo, calma! – il padre, ancora mezzo addormentato e stranito, sipresentò alla porta mentre si legava in vita la cintura della vestaglia.

Trovò con sorpresa un piccolo gruppo di poliziotti tedeschi che battevano conbrutalità e forza. Entrarono in casa spingendolo da parte e dando ordini intedesco e in un italiano molto impacciato.

Fu un continuo vociare per casa e la piccola impaurita si rannicchiò dietro laporta, piangendo in silenzio. Trasalì quando entrò in camera la mamma che se la strinse forte.

-Noi adesso dobbiamo andare via, ma tu nasconditi- le sussurrò, abbracciandola fino a farle mancare il respiro.

 -No, mammina, …mammina, ho paura! – singhiozzava la piccolina.

-Sshhh! – l’accarezzava con dolcezza la madre- mettiti dentro la scarpiera, nel tuo nascondiglio preferito e comincia a giocare con Dolly. Dai, fai in fretta prima che arrivino fino a quassù e ti scoprano- e la spinse dentro ma poi la tirò fuori per un ultimo bacio.

-Mammina mia non mi lasciare, mammina, mammina …ho paura! -le metteva le braccia al collo.

-Ricorda che sei il mio tesoro prezioso. Appena ti renderai conto che non c’è nessuno per casa e per strada, corri dai signori Boselli; noi comunque torneremo presto- e chiuse la porticina mentre sentiva uno dei poliziotti tedeschi gridare.

-Frau, Frau Belforte, signora Belforte dovesi è cacciata?

-Eccomi- rispose Clara accorrendo e ricomponendosi.

Indossò il cappellino che lei tanto amava. Scese giù per le scale.

 Si commosse vedendo il marito e i due figli maggiori, Davide e Daniele, pronti, ben vestiti, la stella di David al braccio e con le valigie in mano.

Si guardarono negli occhi con uno sguardo di intesa e complicità, mentre i poliziotti davano un’ultima sbirciata nelle poche stanze, risalirono pure su, in soffitta ma subito ridiscesero.

Clara tirò un sospiro di sollievo.

Si avviarono mentre il sole faceva capolino in fondo, sull’isola Tiberina.

Uscirono in strada e furono costretti a salire su uno dei camion incolonnati che accoglievano uomini, donne e bambini ebrei con un ricco passato e un futuro incerto. Anziani e malati furono fucilati sul marciapiede davanti agli occhi di tutti.

Portico d'Ottavia, 16 ottobre 1943. Rastrellamento ghetto

 Seduti sul camion, Clara e i suoi cari si presero per mano e iniziarono a pregare:

Dio che benedicesti
i nostri padri
benedicesti Abramo
e Isacco e Giacobbe,
benedici noi tutti e benedici
tutto Israele.
Benedici, Ti prego, i padri
e le madri, e i figli
e i loro cari.
Benedici coloro
che consacrano luoghi di preghiera,
chi prega e si adopera
con generosità.
Chi ospita gli stranieri,
chi i miseri soccorre
e chi, con devozione,
si dedica al benessere
della comunità.
Dio santo e benedetto
che vegli e ricompensi
tieni lontano il male,
dona salute e perdona i peccati;
orsù concedi pace e benedizione
a loro e ai fratelli in Israele
Amen

16 ottobre 2015

Camminava con lentezza, osservava con attenzione ogni angolo del quartiere, ogni dettaglio.

Annetta aveva da poco compiuto ottant’anni e non ritornava in quei luoghi da più di sessanta. Era scappata dal suo rifugio la sera del 16 ottobre 1943, durante il coprifuoco, nel fitto buio, nel silenzio insolente di un quartiere che all’alba era stato del tutto svuotato, defraudato,violentato dai cattivi.

Si fermò davanti al portone Belforte dove da qualche mese erano state poste le “pietre d’inciampo”, messe lì per ricordare che nella casa avevano vissuto i componenti della famiglia, vittime della persecuzione nazi-fascista e deportate nel campo di sterminio di Auschwitz da cui non erano mai tornate. Morti di stenti e di tifo i genitori, nelle camere a gas i fratelli.

Era doloroso rievocare, tuttavia chiudendo gli occhi, rivide fotogrammi della sua infanzia: l’ultima festa della Channukah, la festa delle luci che durava otto giorni e in cui veniva acceso il Menorah, il candelabro a olio a sette bracci. Era unafesta che i bambini adoravano perché si divertivano con la dreidel, trottola a quattro facce che si utilizzava per giocare d’azzardo: si vincevano caramelle o frutta secca. I giocatoriiniziavano tutti con la stessa quantità di dolciumi, mentre una parte deidolcetti veniva messa in un contenitore posto al centro.

-Adesso tocca a me! 

-E poi a me!

A turno, ogni partecipante faceva girare la trottola.Ciascun lato presentava una lettera che indicava se prendere o dare caramelle.                                                                                                                                  

Il gioco terminava quando solo un partecipante restava con tutti i dolciumi, oquando erano stati mangiati tutti. Quante risate e quanta spensieratezza inquei giorni! Che nostalgia!

Ora si trovava davanti alle targhe d’ottone delladimensione di un sampietrino e su esse erano incisi i nomi deisuoi cari…era diventato importante “inciampare” non solo in senso fisico ma soprattutto visivo e morale per fermarsi a riflettere.

Anna, divenuta docente di Storia Moderna presso l’Università“La Sapienza” di Roma, negli ultimi venti anni aveva rielaborato il lutto, riflettuto e scelto di incontrare gruppi, associazioni, scolaresche per parlare dellaShoah e della memoria storica.

  • La memoria è tesoro e custode di tutte le cose, come diceva Cicerone- sottolineava la donna nei vari incontri- I ricordi, a differenza delle ferite, non si devono rimarginare. La memoria non è ciò che ricordiamo ma ciò che ci ricorda.

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Io ho ascoltato il canto del Danubio

Io ho ascoltato il canto del Danubio, ho prestato attenzione ai suoi racconti, ho danzato sulle sue note….ma poi il suo urlo ha fatto vibrare le corde del mio cuore…
E la mia penna ha cominciato senza sosta a scrivere…bramosa di dar vita a nuovi versi, nuovi racconti, mentre la Storia, maestra di vita, cuce con essi trame eterne…
“L’urlo del Danubio”di Marinella Tumino, Operaincerta Editore -2018

Ph: Sabrina Di Marco

Le Scarpe sulla riva del Danubio (in unghereseCipők a Duna-parton) sono un memoriale della Shoah, opera del regista Can Togayrealizzato insieme allo scultore Gyula Pauer. Ricorda il massacro di cittadini ebrei compiuto dai miliziani del Partito delle Croci Frecciate durante la seconda guerra mondiale

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Rubrica: RACCONTI SOTTO L’ALBERO 3

PROFUMO DI LUI

Mi mancano i suoi muscoli. Mi manca l’indescrivibile fusione del suo profumo con quello del suo corpo sudato, l’odore della palestra e del cloro della piscina. Mi manca la fragranza del suo testosterone, emblema dell’energia vitale e della voglia di vivere e di amare. Insomma, quello che mi manca di lui è… LUI. Qualche giorno fa, nostalgica e svuotata, sono entrata in profumeria e ho chiesto di sentire Roma di Laura Biagiotti: il suo profumo. Avrei voluto comprarlo, ma ho rinunciato.
Ho quaranta anni… e non sono più un’adolescente. Mi sono allora accontentata di spruzzarlo ai polsi per poterlo risentire nel corso della giornata e per poter percepire lui, in un certo qual modo, vicino a me. Con Roma sono ritornata indietro nel tempo e ho ripensato all’amore impossibile, nato e cresciuto fra le mura di quella palestra, fra muscoli e attrezzi; un amore superlight che ha permesso al mio corpo di diventare quasi perfetto… in maniera sorprendente… Io, a onor del vero, non sono una donna da palestra, o meglio non lo ero. Sono una donna pigra che ama il mare, il silenzio, sentire il vento sul viso. Amo rifugiarmi, spesso con la mia famiglia, in una casetta, su un’isola della Sicilia, dove fanno da padroni i cactus in terrazza, il profumo del gelsomino, le acque cristalline e il vento caldo che soffia a intermittenza. Io mi lascio cullare dall’amaca, posta all’ombra, in un boschetto davanti casa e dalla melodia emanata dalla musica delle cuffiette che fa da piacevole sottofondo alle mie letture. Tutto è iniziato tre anni fa quando, a causa di grossi problemi alla schiena e a un’ernia, il medico mi ha suggerito degli esercizi mirati in palestra con un personal trainer. È stato traumatico per una come me che non ama tanto fare sforzi fisici, ma solo Yoga e massaggi di varia natura. Così ho seguito, da brava paziente, i consigli del medico: mi sono iscritta in palestra e ho cercato il personal trainer… quello giusto. Ed eccolo: alto, moro, occhi verdi, muscoloso, un sorriso dolcissimo e strabiliante… insomma, un personal trainer da togliere il fiato. L’ultima cosa che non avrei immaginato è che lui fosse andato oltre il semplice guardarmi. Non che io fossi male, anzi mi sentivo piuttosto piacente, ma non avere il fisico perfetto, da palestrata , mi spiazzava parecchio. Sono una donna che gli uomini guardano per strada e mi piace stupire, dando vita a sguardi più o meno innocenti di ammirazione. Mi piace provare a essere bella; mi piacciono i tacchi anche con i jeans, il rossetto rosso e anche sapere che al lavoro sono in gamba. Ciò che faccio lo porto avanti sempre con grande passione ed entusiasmo; se, però, non mi stimola più di tanto, trovo sempre l’aspetto positivo e coinvolgente. E mi lascio travolgere come una forza inesorabile. Lui è stato un ottimo maestro; dall’alto dei suoi chili di muscoli e onde di ormoni, mi ha fatto conoscere i miei limiti e andare oltre. Mi ha insegnato a correre, a fermarmi al momento giusto, a ricominciare, ad aggredire, a colpire, a gestire le forze ma, soprattutto, mi ha insegnato a non dire mai basta . Mi ha rimesso in forma, mi ha scolpita… mi ha resa perfetta. L’attività fisica e lui erano per me endorfina allo stato puro; una vera e propria overdose costante di adrenalina! Sono rimasta ammaliata non dalla sua bellezza statuaria, ma da lui con i guantoni nelle nostre sfide di Kickboxing. Ripensandoci, credo che la nostra prima volta sia stata singolare; penso proprio che non andrà mai nel dimenticatoio. Mi ha baciata nello spogliatoio; poi, con la pelle lucida di sudore, con i muscoli e la sua forza atavica, mi ha posseduta. Sesso virile, istintivo e rude, quasi ferino. Sesso a perdifiato, proprio come quando hai corso così tanto per raggiungere il traguardo e ti sembra che il cuore ti stia scoppiando in petto. Andare in palestra e rivederlo era sempre più bello, eccitante… proibito. Indossando i mie guantoni, mi perdevo nei suoi occhioni blu e lo immaginavo nudo… sapevo com’era nudo… Lui per me era energetico, psicostimolante… era estasi. Aveva un tatuaggio all’interno del polso col nome di sua figlia. Non nascondo che avrei voluto ci fosse il mio, ma eravamo entrambi sposati, forse non avrebbe funzionato;infatti dopo tre anni è finita. Non ci siamo più visti dall’ultima volta. E quando mi prende la nostalgia, indosso i miei guantoni e comincio a colpire il mio sacco da boxe. Colpisco, colpisco, colpisco… L’amore è pure questo. Colpisci, colpisci o è la fine.

Da TRAME D’INCHIOSTRO. RACCONTI E OLTRE
KUMRRIK EDIZIONI 2015Facebooktwitterlinkedinmail

RACCONTI SOTTO L’ALBERO 2

Mia carissima amica… Uno scambio epistolare d’altri tempi

A Valentina

Uno scambio epistolare con una persona cara, in un tempo in cui non conoscevo (o forse in Italia non erano ancora giunti?) internet, sms ed e-mail, scrivendo nero su bianco tutto quello che il cuore suggeriva. Un’amicizia preziosa, un carteggio che mi ha regalato la possibilità di rivedere pezzi di me, magari imperfetti oppure troppo appassionati, ma è stato anche un modo per raccontare dime, delle memorie, dei trionfi e delle sconfitte, insomma una sorta di autobiografia che, in un certo senso, riannoda momenti della mia vita dando un repertorio di modi di essere di me nel tempo e nello spazio e un senso della mia essenza collocata nel mondo, secondo un’ottica di continua costruzione e ri-costruzione della mia immagine identitaria. Ecco alcuni scampoli di quella autentica amicizia che si nutriva e fortificava tramite corrispondenza, la quale ha avuto la durata di poco più di un ventennio…

Mia carissima amica, da quando sei partita le mie giornate scorrono inesorabilmente… vivo nell’apatia, nel silenzio di notti buie e solitarie e soprattutto nella nostalgia di te, delle nostre interminabili chiacchierate, delle risate e degli scherzi organizzati, delle nostre follie di adolescenti… Quando ci rivedremo? Quando potremo nuovamente condividere la quotidianità? Mi manchi tantissimo…

Cara e insostituibile amica, dopo ben oltre due anni, ci siamo riviste!!!! Non mi è sembrato affatto fosse passato tutto questo tempo dall’ultimo incontro; del resto le lunghe lettere e le telefonate hanno cercato di colmare il vuoto, che poi vuoto non è stato!!! Adesso, eccomi qui a casa in quella che tu chiami “la dolce Sicilia”, terra solare che ci ha cullate nella nostra fanciullezza e che, come più volte hai ribadito, ti porti nel cuore come parte di te… Spero che quanto prima, magari per le prossime vacanze natalizie, potremo fare una rimpatriata anche se sarebbe bello ritrovarsi dalle tue parti visto che d’inverno non manca mai la neve. Qui praticamente la sconosciamo e infatti ricordo con gioia quella volta in cui in novembre venni a trovarti e facemmo, proprio sotto casa tua, instancabili lotte con le palle di neve. Quante risate…

Mia cara amica, quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci siamo sentite? Lo so, abbiamo percorso strade diverse in due mondi diversi e, sebbene mille chilometri ci abbiano sempre separato, io ti ho portato nel cuore, in un angolo recondito di essproprio come tu dici di me.
Siamo cresciute e quelle “piccole donne” che tanto leggevamo insieme e amavamo sono diventate grandi! Non sai quanto mi abbiano lusingato le tue parole e il fatto di assolvere un ruolo importante: dovere essere la tua testimone di nozze mi riempie il cuore di gioia. Io ci sarò, puoi contarci! Sarò lì con te, a condividere i preparativi e il giorno più importante della tua vita!!! Non vedo l’ora!!!

Ciao mia carissima Amica, che dirti? Sono tornata a casa soddisfatta, appagata, carica di energie positive, insomma è indescrivibile la gioia che ho provato nell’aver assolto a un compito molto speciale: farti da testimone! Sono stata testimone di qualcosa di veramente speciale, intimo e prezioso. E poi mi sono sentita tua complice nell’aver condiviso suoni, odori, emozioni, risa, pianto e divertimento. Grazie per avermi regalato un pezzetto della tua felicità, per avermi concesso di stare lì con te, per essermi amica, non a parole, ma con i fatti. Ti auguro con tutta me stessa tanta felicità da dividere insieme al tuo Amore. Buon cammino, Amica mia!!!

Ciao stellina, ho appreso la notizia dell’intervento: non ne sapevo nulla né dell’asportazione dei linfonodi, né tantomeno di quella della milza… in compenso però sei più leggera, eh? A parte gli scherzi, mi fa felice sapere che sei ritornata la mattacchiona di sempre, la mia deliziosa e solare amica. Vedrai,
ora che anche l’esame istologico andrà bene e sarà tutto negativo. Forza! Forza!!! E tu sei molto forte… condivido ciò che hai scritto: “Tutto ciò che sto vivendo fa sì che la mia vita venga vissuta con più intensità ma non più in fretta”. Ciò poi che ti rende ancora più forte è l’amore del tuo maritino. A sei mesi di distanza dalle vostre nozze potreste scrivere già un grosso libro su quanto avete vissuto e condiviso in quest’ultimo periodo. Scriverebbe qualcuno che “anche sull’asfalto è possibile che nasca un fiore”, infatti niente e nessuno potrà mai distruggere il vostro amore… Resto in attesa di vostre notizie, salutami tutta la tua meravigliosa famiglia. Ricorda che vi aspetto qui in Sicilia di cui è tanto incuriosita la tua dolce metà… almeno così mi diceva lui che era affascinato dai tuoi infiniti racconti ed elogi. Ora ti saluto e auguro a voi tutti ogni bene.

Dolcissimo bocciolo, non sai quanto mi manchi!!! Non riesco a capacitarmi per quanto è successo a te, che meritavi di vivere più di ogni altro per la tua allegria, solarità, il tuo altruismo… Non abbiamo avuto il tempo di renderci conto, di gridarci per l’ultima volta quell’insostituibile: “Ti voglio bene, amica mia!”.
Adesso che non ci sei più, adesso che sei volata in cielo tra le braccia di un angelo, è andata via una parte di me perché tu sei sempre stata in me, piccolo fiore.
Va’ , ora, non guardare indietro… e continua a “brillare” per la nostra Amicizia. Ricorda che rimarrai nei miei pensieri perché continueraia vivere per sempre nel mio cuore…
Arrabbiata, arrabbiatissima con la morte che ha portato via la mia dolcissima e cara amica…
Sono passati diversi anni da allora e andare alla ricerca dei ricordi e alla riscoperta di pezzi lontani della storia della nostra amicizia mi carica di profonda nostalgia, ma mi permette di guardare anche l’infinita bellezza di attimi vissuti con intensità e genuinità che niente e nessuno potrà mai distruggere.

Da TRAME D’INCHIOSTRO DI MARINELLA TUMINO
KIMERIK EDIZIONI 2015Facebooktwitterlinkedinmail

RUBRICA: RACCONTI SOTTO L’ALBERO 1

SOGNO CLANDESTINO

Blu, rosse, dorate.
Sul grande albero le lucette, poste a spirale nella chioma esterna, creavano un gioco di intriganti intermittenze.
Davanti ad esso stavano fermi i bimbi, incantati da quel movimento costante nel tempo. I loro occhi sembravano accogliere con un sorriso quella che probabilmente era per loro una novità.
In quei giorni, il Centro di Primo Soccorso e Accoglienza ospitava una ottantina di immigrati; una settimana prima, circa quattrocento erano stati espatriati o portati in altri centri della penisola.
Il Natale era alle porte e, come ogni anno, i volontari addobbavano le sale fredde e squallide dell’edificio, rendendo l’atmosfera davvero accogliente.

Gemma, anche in quell’occasione, pensò di prestare il suo aiuto, seppur gli impegni con l’Orchestra in cui era prima Violinista, fossero tantissimi.
Lo faceva con piacere ormai da qualche anno. Amava immergersi in un mondo di colori, sapori e odori che sapeva appartenere ad un altro continente, l’Africa, da cui era sempre stata affascinata e attratta.

Gli ospiti arrivavano dall’Etiopia, dal Congo, dalla Nigeria. Erano in cerca di una vita migliore che era stata promessa loro dai trafficanti di uomini.

Conoscerli e stare a contatto con loro era per Gemma un modo tutto nuovo di approcciarsi a culture e tradizioni lontane dal suo mondo. E poi la appassionava davvero tanto esibirsi in un concerto per persone spesso prive di identità apparenti. La musica, armonia dell’anima, incantava con le sue note creando tra mente e cuore sinergie indefinibili.

Nel preparare i pacchetti natalizi da apporre sotto l’albero, la violinista conversava con Abebe, una giovane eritrea che era al centro ormai da diversi mesi. Insieme chiacchieravano del più e del meno, scegliendo la carta regalo e i nastrini da abbinare. Colse l’occasione per chiederle informazioni sulla donna, che aveva notato sin dal primo istante in cui era entrata al Centro e che stava seduta nell’angolo in fondo alla sala. Stava leggendo un libro. Aveva delle fattezze fisiche e dei tratti somatici che le riportavano alla mente le donne etiopi: alta, formosa, bella e con dei capelli intrecciati con cura e grande abilità;..
– Si chiama Jandra e arriva dall’Etiopia; – si espresse Abebe che era ritenuta l’informatrice del Centro; sapeva sempre tutto di tutti- è giunta qui dopo aver appreso la notizia che Samir, il suo uomo, è stato ritrovato cadavere sulle coste lampedusane. Era partito dal Paese di origine, come tanti migranti in fuga dal Sud del mondo.
– Oh, ma davvero? Quanto mi dispiace! Osservandola, mi è sembrata pensierosa e triste; chissà cosa cova dentro! Vorrei conoscerla di persona. Ti dispiacerebbe farmi da interprete?
– Certo, Gemma; conosce molte lingue e parla piuttosto bene anche l’Italiano …ma vieni, dai che te la presento!

Gemma era eccitata all’idea e seguì incuriosita Abebe…

“Buongiorno Jandra, ti presento la mia amica Gemma! Gemma, lei è Jandra…”
“Buongiorno Abebe! Piacere di conoscerti Gemma- rispose l’etiope con garbo e piuttosto incuriosita, porgendo la mano alla nuova conosciuta, secondo l’usanza occidentale. – Asham, nagaa!” – aggiunse con un sorriso.
“ E’ Oromo, la lingua afroasiatica parlata in Etiopia. Ciao, la pace sia con te! – tradusse Abebe con prontezza come se volesse rendersi utile il più possibile- Ora vado di là ad aiutare in cucina”- si congedò l’eritrea, lasciando le due donne in conversazione, mentre si scrutavano da vicino.
“Sei una brava violinista, Gemma, ti ascoltavo mentre facevate le prove con l’orchestra”- si complimentò Jandra.
“Grazie, sei molto gentile. Sì, mi piace molto suonare…diciamo che è il mio mestiere…suono, appunto, in una grande Orchestra. Amo la musica perché è, per me, espressione d’arte mistica, è un linguaggio senza tempo…è la voce di tutta l’umanità.”
“Concordo del tutto! È un linguaggio universale, è linguaggio dell’anima e aiuta a esprimere sé stessi”.
“E tu, invece, cosa stai leggendo? – domandò Gemma interessata – Ti osservavo mentre ero a preparare i pacchetti natalizi”.
“A dire il vero stavo leggendo un libro: Il culto della Vergine presso gli Abissini. Si tratta del libro etiopico dei Miracoli di Maria. Una lettura tutta nuova per me!”
“E’ sempre interessante affrontare nuove tipologie di lettura” – sottolineò Gemma, poi aggiunse- Come mai hai scelto di venire in Italia? Parli benissimo la nostra lingua!”
“Diciamo che è una lunga storia la mia, una storia d’amore e di dolore… Beh! … se ti fa piacere, te ne parlo un po’ …”
“Ma certo! Ti ascolto volentieri…intanto, ti va di aiutarmi, a preparare i doni natalizi per i piccoli del Centro?”

Jandra acconsentì facendo cenno con la testa.

Si spostarono nella stanza adiacente dove c’era una grande libreria e un tavolo; su di esso tanti pacchetti ben confezionati, della carta regalo arrotolata; in una scatola delle coccarde e dei nastrini che fuoriuscivano in maniera disordinata.
“Eccoci! Mi passeresti i giochini riposti lì nel cestone, per favore? – chiese con dolcezza – Cosi, se non ti dispiace, continuo a impacchettare. “
“Sì, certo…posso anche tagliare il nastro adesivo, se vuoi…- e tirò un sospiro come a volere prendere fiato- Mi piace l’Italia. Sin da quando ero adolescente- iniziò a raccontarsi- il mio sogno è sempre stato quello di venire a vivere e lavorare qui- e sorrise mettendo in mostra i denti ben allineati- Ho avuto la fortuna di studiare nella scuola italiana di Addis Abeba e, dopo essermi diplomata come maestra, ho cominciato ad insegnare nella scuola materna. Una vera missione per me. Lavorare con i bambini è proprio meraviglioso; non si può immaginare quante emozioni possano regalare!!!
Ho conosciuto Samir mentre lavorava vicino la scuola come facchino d’albergo, anche se era un ingegnere. Aveva intenzione di andare via: si sentiva sfruttato e, a volte, veniva pure malmenato- si fermò un attimo come se volesse focalizzare meglio gli eventi, poi riprese- Un bel giorno mi annunciò che aveva pagato per andare via, in Italia dove c’era un mondo migliore rispetto a quello che si stava lasciando alle spalle. Aveva dei sogni da realizzare e speranze, come ogni essere umano; si augurava che la fame, la miseria e la disperazione vissuta in un vicino passato potessero presto diventare solo un lontano ricordo.
Io gli chiesi cosa ne sarebbe stato di noi e lui mi rispose con un caldo abbraccio, qualcosa di immenso per me che, di volta in volta, si rinnovava e mi procurava un brivido intenso, togliendomi il respiro. Era un’emozione pazzesca che mi fermava il cuore fino a non sentirlo più, per poi sentirlo battere ancora più forte. Certe emozioni ti mettono radici nel cervello e non ti mollano. Lui mi rassicurò e assicurò che appena si fosse sistemato, io avrei potuto raggiungerlo e così ci saremmo sposati.
Gli evidenziai che avremmo potuto realizzare il nostro sogno anche lì, in Etiopia, e che poi, magari più avanti, avremmo potuto trasferirci. Non mi piaceva l’idea che lui diventasse un clandestino!
Sapevo che mi amava e tanto, ma non seguiva quasi mai i suggerimenti che gli davo.”

“Son pronto a svolgere anche i lavori più umili- mi disse- voglio, insomma, vivere, a buon diritto, una nuova vita che mi garantisca un minimo di serenità e, soprattutto, di sicurezza”.
“C’è da dire – gli volli sottolineare – che, in tutto questo iter, un gioco rilevante viene svolto da diverse figure come quelle dei trafficanti di schiavi che organizzano il viaggio di tutti i clandestini. Ti assicurano, di certo, il viaggio ma dovrai pagare ingenti somme. E poi… e poi…è illegale; si tratta di vero e proprio reato!”.
“Stai serena- mi disse lui accarezzandomi il volto con la sua mano da gran lavoratore, ruvida e piena di calli – andrà tutto benone! Finora io e te abbiamo volato cieli impossibili e continueremo a farlo, se sarà il caso, perché noi siamo anime fatte di assonanze e intuizioni, siamo respiri in un respiro. Noi non possiamo perderci perché siamo i sogni e i sogni, quelli più veri e più belli, vivono in noi.”

“Avevo percepito che sentiva una forte voglia dentro di sé, il bisogno di agguantare la vita con entrambe le mani prima che il tempo fluisse ancora più lesto. Che dovevo fare a quel punto? Era inutile continuare ad insistere ma alla partenza, che avvenne di notte, lo strinsi fortissimo a me e non fui in grado di trattenere le lacrime e i singhiozzi. Non riuscivo a staccarmi da lui. Anche Samir era visibilmente commosso- le gote, a quel punto del racconto, le si rigarono di lacrime”- e cominciò a piangere in maniera irrefrenabile.

“Mi dispiace- disse Gemma che aveva smesso da un po’ di impacchettare i doni e abbracciò Jandra come a volerla consolare- immagino allora che non sia andata come desideravate entrambi… ma fermiamoci qui…continuiamo in un altro momento, se lo preferisci…”
“No, no…tranquilla! Possiamo continuare- tirò su col naso e si asciugò gli occhi con il polsino della maglia- tanto non serve a nulla piangere…Il suo corpo privo di vita è stato rinvenuto sulle coste lampedusane- riprese il racconto con una certa compostezza- Tra gli oggetti che aveva in corpo furono rinvenute delle lettere che sembrano quasi un testamento. Tra le righe c’è il racconto della sua odissea… ti leggo un passo- e uscì fuori dal libro una busta dalla quale estrasse più fogli sgualciti in cui l’inchiostro era scolorito e i grafemi sembravano aver assunto forme nuove-

“Mia dolce Jandra, mio adorato amore, io ce l’ho quasi fatta…non ti nascondo, però, che vivo nella paura che questo barcone, su cui siamo in viaggio da giorni, forse settimane, possa affondare da un momento all’altro. E’ stracolmo di gente e ci sono tanti bambini che piangono e si lamentano in continuazione. Poveri cuccioli! Siamo tutti stanchi e affamati… ma la Sicilia è ormai vicina, così dicono, ed il mio sogno si sta per avverare. Lo so, ho dovuto pagare per realizzarlo ma sono contento…soprattutto se potrò condividerlo con te. Vorrei tu fossi già qui con me…Sento il tuo odore e insieme ad esso vedo il tuo sorriso ed il tuo modo di guardarmi. E’ come se il tuo profumo racchiudesse tutte le pieghe della tua bocca e la forza dei tuoi abbracci. Lo conosco alla perfezione: è l’odore dell’Amore. Non osare, dunque, dimenticarmi! Il mio desiderio più grande è che tu stia bene. Non so se riuscirai a dar forma e colore a questo amore…però lo puoi afferrare…è tutto e solo per TE, amore mio…
Se mi salverò, ti prometto che farò tutto quello che mi sarà possibile per trovare un lavoro e farti venire in Europa da me.
Se leggerai questa lettera, io sarò salvo e allora noi avremo un futuro. Ti aspetto con ansia. Ti amo. Che Allah mi protegga.
Tuo per sempre, Samir”

“Non ho parole, Jandra cara – pronunciò, Gemma, con immensa emozione e con un groppo alla gola che la faceva fremere – di sicuro è doloroso e quasi impossibile accettare. Immagino sia molto dura…ma posso chiederti il seguito? Solo se te la senti, naturalmente…”
“Sì, sì, certo, me la sento! Grazie! …Questa lettera la portava addosso come fosse una reliquia. Era chiusa, quasi sigillata, dentro una busta di plastica…forse perché temeva che rischiava grosso perchè il mare potesse distruggerla. Con essa c’era una mia foto dietro la quale c’era il mio indirizzo. Ecco perché con facilità sono stata contattata dalle Forze dell’Ordine italiane e dall’Ambasciata etiope per il riconoscimento del corpo. Non ho perso tempo, ho preso il primo volo e dovuto affrontare la tragedia- riprese a singhiozzare ma poi si fermò provando a riprendere per l’ennesima volta il racconto- L’atto del riconoscimento è struggente e non trovo altre parole per descriverlo…Ho già partecipato ai funerali e il dolore mi ha letteralmente infilzato il cuore. Lo amavo. Amavo il modo in cui metteva in mostra la sua mente quando parlava, amavo la sua testardaggine, amavo la sua essenza, mi sento persa senza di lui e l’immensità del vuoto ora mi ha trascinata nel baratro…Mi trovo qui, alla ricerca di Hagos, un suo carissimo amico di cui non ho più notizie. So solo che è riuscito a salvarsi e che è stato ospite qui. Avrei voluto da lui altre notizie di Samir e sugli ultimi istanti della sua vita. Lo so, sarà dolorosissimo conoscere…nel frattempo sto maturando l’idea di rimanere qua in Italia. Non so cosa potrei fare…vorrei spendermi in qualcosa di bello e di utile, così potrei realizzare quel sogno che sin da ragazzina mi accompagna e che non sono riuscita a realizzare e a condividere con lui- chiuse gli occhi come se provasse a realizzare il sogno”.
“Sono certa che sarà così, vedrai! Qui, al Centro, ti daremo una mano per quanto sarà possibile – rispose con convinzione Gemma e aggiunse con tenerezza- Me lo ripeto sempre: “Siamo tutti clandestini. Tutte le persone che hanno un altrove e qualcosa di estraneo a loro stessi lo sono. Clandestini del cuore. In questo senso tutti noi lo siamo!”

Racconto tratto da TRAME D’INCHIOSTRO-RACCONTI E OLTRE di Marinella Tumino
Kimerik Edizioni

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La notte di Ognissanti

E’ notte. Chiudo le palpebre quando mamma mi rimbocca le coperte e sfiora la fronte con un delicato e indimenticabile bacio della buonanotte.
E’ la notte di Ognissanti.
Decido di attendere sveglia l’arrivo dei morticini che secondo la tradizione popolare, durante la notte, tornano nelle case dei loro cari portando i regali ai loro discendenti.
E in attesa del loro arrivo, me ne sto con gli occhi strizzati, seminascosta sotto le coperte forse per paura del buio ma anche un po’ per ansia per l’arrivo inconsueto di nonni di cui non rammentavo molto e i cui volti li avevo visti in vecchie foto in bianco e nero.
Mi chiedo irresoluta: “E se mi trovassero sveglia cosa farebbero? Fluttuerebbero per casa indispettiti e non lascerebbero i regali tanto attesi? Si dissolverebbero nell’oscurità?”.
E mentre mi areno nei dubbi più straordinari, tipici della fantasia sbalorditiva dell’infanzia, mi inabisso nel sonno più profondo e nei sogni di bimba ingenua.
Al risveglio, quando le prime luci del mattino, deboli bagliori che mi lambiscono le palpebre fino a farmele riaprire, mi siedo sul letto con le gambette penzoloni, stropicciandomi gli occhi ancora incredula e stupìta per essermi persa il tanto sospirato appuntamento. Da quel momento inizia la convulsa ricerca dei regali.
Si va per casa in silenzio, in punta di piedi, per non disturbare chi ancora dorme e si apre una bella caccia al tesoro… tutto è fantastico! Si cerca negli angoli più impensati e il ritrovamento è pura esultanza.
A distanza di tempo sento ancora il sapore di biscotti speziati alla cannella e della morbida e profumata frutta martorana, l’odore delle caldarroste, il gusto dei semi vermigli sgranati dei melograni. Tutti doni che trovavamo in un delizioso cestino vicino ai regali …
Odori, colori, sapori di sublime felicità e gioia condivisa.
Marinella Tumino ©

E nella foto… me voilà all’età di 4 anni!!! ❤Facebooktwitterlinkedinmail