Chiusa tra quattro mura, con l’occhio di adolescente, la giovane Anne Frank osservava da vicino, come se usasse un apposito microscopio, il mondo attorno a sé e ne scrutava i dettagli, ne esaminava gli effetti, ne prevedeva, talvolta, le conseguenze, immaginando un futuro colorato di rosa.
Nonostante vivesse rinchiusa in un angolo di mondo piuttosto acuto in cui gli altri compagni di prigionia si sentivano vittime, lei continuava a sentirsi una creatura che danzava libera in armonia con i battiti del suo io interiore. A occhi chiusi continuava a vagare tra le nuvole vaporose, nel cielo incerto di una Amsterdam assediata dal Male. E mentre vagabondava in quel mondo fiabesco, sognava la liberazione.
Passavano i mesi e Anne cresceva, maturava, percepiva quasi silente, i cambiamenti del suo corpo, si stupiva della metamorfosi che si stava compiendo fuori e dentro di lei.
A tratti la nostalgia di un’infanzia felice e spensierata faceva capolino, la pervadeva e il suo umore mutava.
Più cresceva più era infastidita dal mondo degli adulti che navigava spesso nelle acque della meschinità, dei litigi e delle bugie e, seppur amasse teneramente il suo babbo che amava chiamare Pim, cominciò a essere intollerante anche nei suoi confronti. Quello che provò però per la madre fu spesso odio, animosità di cui sono dense le pagine del diario e nelle quali condannava duramente i suoi rimproveri, le sue ramanzine che la facevano rinchiudere in una forma di solitudine.
Fortuna che c’erano i sogni a consolarla!
E soavemente ovattata da un mondo vellutato, fatto di desideri e aspirazioni, ecco che Anna ha incontrato guancia a guancia il giovane coinquilino Peter col quale ha condiviso due anni di segregazione.
Dubbi, incertezze, paure, tipici dell’adolescenza, affollavano la mente della ragazza che non riusciva a capire fino in fondo i sentimenti del ragazzo e, cosa ancora più grave, quelli che lei nutriva per lui. Anne viveva altalene di emozioni, ma audace e determinata, nonché deliziosamente sfrontata, un bel dì baciò il suo Peter. Fu il suo primo bacio d’amore, un bacio delicato, innocente, di quelli che però fanno vibrare le corde del cuore. E a quel bacio ne seguì un altro, un secondo, nel quale le sue labbra incontrarono quelle di lui. Fu l’ultimo eterno, indimenticabile bacio.
Ma proprio da quel bacio, Anne cambiò, cominciando a biasimare il giovane che, fino a pochissimo tempo prima, aveva amato a modo suo. Lo disprezzava perché era troppo insicuro, immaturo, mancava di autostima, non aveva obiettivi, non aveva fede. Così, Anne cadde di nuovo nella solitudine, nella paura di aver perso definitivamente la sua adolescenza, la sua spensieratezza, ma conservava il dono della scrittura che la faceva sentire “diversa, migliore”. La cosa migliore è poter scrivere i miei pensieri ed i miei sentimenti, altrimenti soffocherei completamente. (Anne Frank, 1944)
Esaltava la bellezza della Natura, del Creato. Era, pertanto, certa che Dio, il quale aveva fatto dono agli uomini di cotanta bellezza, desiderasse il loro bene e la loro felicità, dunque il Bene avrebbe trionfato su tutto.
Eppure il 4 agosto 1944, la polizia nazista fece irruzione in Prinsengracht 263 e tutti gli abitanti del nascondiglio vennero deportati, mentre gli occhi della giovane si volgevano speranzosi al cielo. Tuttavia, nel bene, che l’adolescente era certa esistesse, è sempre presente il rischio del male… Il 12 marzo 1945, nel campo di Bergen-Belsen, all’età di 15 anni, Anne morì di stenti e di tifo, portando con sé la gioia di vivere e la speranza di godere appieno della libertà e dell’Amore.
Marinella Tumino