LA PORTA SOCCHIUSA di Marinella Tumino
Roma, venerdì 11 novembre1938.
A casa Belforte il lume a olio rimaneva acceso fino a tarda ora. Dopocena, dal tavolo della sala veniva spostato sullo scrittoio della biblioteca.
Giacobbe e Clara andavano a letto tardi e, mentre lui sbrigava le ultime carte per la ditta di cui era contabile, lei sferruzzava, tenendogli compagnia.
Dietro la porta socchiusa,al buio, immobile e acquattata alla parete, Annetta ascoltava i discorsi dei genitori. La piccola di appena tre anni si era svegliata di soprassalto,assalita da un brutto sogno.
Il padre, dopo aver riordinato i vari documenti, come un rito che lo accompagnava da sempre, si accese un sigaro e massaggiò con delicatezza gli occhi stanchi, poi, inforcò di nuovo gli occhiali per leggere ad alta voce le ultime notizie, l’edizione pomeridiana del Corriere della Sera.
“Le leggi per la difesa della razza ariana: approvate dal Consiglio di Ministri – lesse quasi in apnea- I matrimoni misti sono proibiti, La definizione di ebreo, le discriminazioni e le annotazioni allo Stato Civile. L’esclusione dagli impieghi statali, parastatali e di interesse pubblico…”
Si fermò.
Provò a riprendere la lettura, ma non si sentì in grado. Alzò gli occhi verso Clara con lo sguardo interrogativo.- Vai avanti – lo esortò.
-Mi sembra tutto così assurdo! E’un’infamia! – gli si inumidirono gli occhi e la voce era soffocata.
-E ora che succederà? Che faremo?
-Non saprei…ehm…comincia a complicarsi e non pensavo si arrivasse a tanto- aspirò il fumo del sigaro, dando dei colpi di tosse, sperando forse di trovare ispirazione dagli anelli di fumo che creava.
-Che ne sarà di noi, della nostra famiglia, di ciò che abbiamo costruito con sforzi e immensi sacrifici? Ho proprio una gran paura- Clara cominciò a singhiozzare.
-Di sicuro il Papa e la Chiesa ci aiuteranno, ostacoleranno questi folli- l’uomo le si avvicinò, provando a rassicurarla e poi ad asciugarle le lacrime, mentre tirava fuori dalla tasca un fazzoletto in cotone con la G ricamata in uno degli angoli. Poi, la avvolse in un caldo e tenero abbraccio.
Intanto, la piccola, che nascosta fino a quel momento aveva assistito alla scena, scappò in cameretta,correndo in silenzio e in punta di piedi, rannicchiandosi nel letto, assieme allabambola Dolly, amica inseparabile.
Scoppiò a piangere impaurita, chiedendosi cosa stesse succedendo…
Fu l’inizio di una terribile avventura in cui la piccola Annetta fu testimone, viaggiatrice nel cuore del tempo.
Per cinque anni, la vita dei Belforte e di tutti gli Ebrei si svolse con stentata e apparente normalità,costretti ad assecondare e rispettare le Leggi Razziali in vigore.
-Siamo stati fortunati finora – Giacobbe si rivolgeva a Clara mentre sprofondava comodo nel divano, guardandola dritta negli occhi neri e profondi- continuo a fare il contabile anche se non so ancora fino a quando il dottor Ferretti mi terrà a lavorare con sé. Lui è un uomo di buon cuore ma è un ariano, un italiano di razza pura- sottolineò con sarcasmo- e rischia grosso.
-Siamo stati costretti a trasferirci qui al ghetto, lasciando la nostra bella casa.
-Lo so, cara, ma bisogna accontentarsi, fino ad oggi non ci siamo fatti mancare nulla- e le porse un sorriso rassicurante- e poi siamo a due passi dalla sinagoga, dalla scuola, dalla fermata delle linee degli autobus riservati a noi.
All’alba del 16 ottobre 1943, giorno di festa per tutti gli ebrei …
Annetta, come spesso le accadeva, si svegliò di soprassalto. Temendo fossero i soliti incubi, si mise a sedere sul letto, provò a respirare a fondo e senza affanno,come le aveva insegnato mamma, ma si rese subito conto che era stata svegliatada un vociare e da marce cadenzate che provenivano dalla strada.
Si rabbuiò, abbracciando con forza Dolly e chiedendosi cosa stesse succedendo.
Fu proprio allora che bussarono con vigore al battente del portone.
Si alzò e andò a sbirciare dalla porta socchiusa.
La sua camera era stata allestita in soffitta, nel ripostiglio.
-Arrivo,un attimo, calma! – il padre, ancora mezzo addormentato e stranito, sipresentò alla porta mentre si legava in vita la cintura della vestaglia.
Trovò con sorpresa un piccolo gruppo di poliziotti tedeschi che battevano conbrutalità e forza. Entrarono in casa spingendolo da parte e dando ordini intedesco e in un italiano molto impacciato.
Fu un continuo vociare per casa e la piccola impaurita si rannicchiò dietro laporta, piangendo in silenzio. Trasalì quando entrò in camera la mamma che se la strinse forte.
-Noi adesso dobbiamo andare via, ma tu nasconditi- le sussurrò, abbracciandola fino a farle mancare il respiro.
-No, mammina, …mammina, ho paura! – singhiozzava la piccolina.
-Sshhh! – l’accarezzava con dolcezza la madre- mettiti dentro la scarpiera, nel tuo nascondiglio preferito e comincia a giocare con Dolly. Dai, fai in fretta prima che arrivino fino a quassù e ti scoprano- e la spinse dentro ma poi la tirò fuori per un ultimo bacio.
-Mammina mia non mi lasciare, mammina, mammina …ho paura! -le metteva le braccia al collo.
-Ricorda che sei il mio tesoro prezioso. Appena ti renderai conto che non c’è nessuno per casa e per strada, corri dai signori Boselli; noi comunque torneremo presto- e chiuse la porticina mentre sentiva uno dei poliziotti tedeschi gridare.
-Frau, Frau Belforte, signora Belforte dovesi è cacciata?
-Eccomi- rispose Clara accorrendo e ricomponendosi.
Indossò il cappellino che lei tanto amava. Scese giù per le scale.
Si commosse vedendo il marito e i due figli maggiori, Davide e Daniele, pronti, ben vestiti, la stella di David al braccio e con le valigie in mano.
Si guardarono negli occhi con uno sguardo di intesa e complicità, mentre i poliziotti davano un’ultima sbirciata nelle poche stanze, risalirono pure su, in soffitta ma subito ridiscesero.
Clara tirò un sospiro di sollievo.
Si avviarono mentre il sole faceva capolino in fondo, sull’isola Tiberina.
Uscirono in strada e furono costretti a salire su uno dei camion incolonnati che accoglievano uomini, donne e bambini ebrei con un ricco passato e un futuro incerto. Anziani e malati furono fucilati sul marciapiede davanti agli occhi di tutti.
Seduti sul camion, Clara e i suoi cari si presero per mano e iniziarono a pregare:
Dio che benedicesti
i nostri padri
benedicesti Abramo
e Isacco e Giacobbe,
benedici noi tutti e benedici
tutto Israele.
Benedici, Ti prego, i padri
e le madri, e i figli
e i loro cari.
Benedici coloro
che consacrano luoghi di preghiera,
chi prega e si adopera
con generosità.
Chi ospita gli stranieri,
chi i miseri soccorre
e chi, con devozione,
si dedica al benessere
della comunità.
Dio santo e benedetto
che vegli e ricompensi
tieni lontano il male,
dona salute e perdona i peccati;
orsù concedi pace e benedizione
a loro e ai fratelli in Israele
Amen
16 ottobre 2015
Camminava con lentezza, osservava con attenzione ogni angolo del quartiere, ogni dettaglio.
Annetta aveva da poco compiuto ottant’anni e non ritornava in quei luoghi da più di sessanta. Era scappata dal suo rifugio la sera del 16 ottobre 1943, durante il coprifuoco, nel fitto buio, nel silenzio insolente di un quartiere che all’alba era stato del tutto svuotato, defraudato,violentato dai cattivi.
Si fermò davanti al portone Belforte dove da qualche mese erano state poste le “pietre d’inciampo”, messe lì per ricordare che nella casa avevano vissuto i componenti della famiglia, vittime della persecuzione nazi-fascista e deportate nel campo di sterminio di Auschwitz da cui non erano mai tornate. Morti di stenti e di tifo i genitori, nelle camere a gas i fratelli.
Era doloroso rievocare, tuttavia chiudendo gli occhi, rivide fotogrammi della sua infanzia: l’ultima festa della Channukah, la festa delle luci che durava otto giorni e in cui veniva acceso il Menorah, il candelabro a olio a sette bracci. Era unafesta che i bambini adoravano perché si divertivano con la dreidel, trottola a quattro facce che si utilizzava per giocare d’azzardo: si vincevano caramelle o frutta secca. I giocatoriiniziavano tutti con la stessa quantità di dolciumi, mentre una parte deidolcetti veniva messa in un contenitore posto al centro.
-Adesso tocca a me!
-E poi a me!
A turno, ogni partecipante faceva girare la trottola.Ciascun lato presentava una lettera che indicava se prendere o dare caramelle.
Il gioco terminava quando solo un partecipante restava con tutti i dolciumi, oquando erano stati mangiati tutti. Quante risate e quanta spensieratezza inquei giorni! Che nostalgia!
Ora si trovava davanti alle targhe d’ottone delladimensione di un sampietrino e su esse erano incisi i nomi deisuoi cari…era diventato importante “inciampare” non solo in senso fisico ma soprattutto visivo e morale per fermarsi a riflettere.
Anna, divenuta docente di Storia Moderna presso l’Università“La Sapienza” di Roma, negli ultimi venti anni aveva rielaborato il lutto, riflettuto e scelto di incontrare gruppi, associazioni, scolaresche per parlare dellaShoah e della memoria storica.
- La memoria è tesoro e custode di tutte le cose, come diceva Cicerone- sottolineava la donna nei vari incontri- I ricordi, a differenza delle ferite, non si devono rimarginare. La memoria non è ciò che ricordiamo ma ciò che ci ricorda.
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